Tchaikovsky: Violin Concerto, Op. 35, Méditation, Op. 42

Čajkovskij, musicista dalla sensibilità Europea

“Avevo diciassette anni quando feci la conoscenza di un Maestro italiano di canto di nome Piccioli. Egli fu la prima persona che s’interessò alle mie doti musicali. L’ascendente che ebbe su di me fu straordinario: ancor oggi non sono completamente uscito dalla sua sfera d’influenza.”
Così scriveva Čajkovskij nel suo saggio autobiografico del 1889 pubblicato dal periodico tedesco Nord und Süd, e proseguiva: “In conseguenza di ciò divenni un entusiasta ammiratore di Rossini, Bellini e Donizetti”. Qualche anno più tardi ribadiva in un’intervista al New York Herald: “Ancor oggi ascolto le melodie di Bellini con le lacrime agli occhi”.
Poco dopo, sempre nella sua autobiografia, ci descrive il suo incontro con Mozart: “Un bel giorno, in modo per niente intenzionale, ebbi l’occasione di sentire il Don Giovanni di Mozart. Fu come un’assoluta rivelazione per me. Mi è impossibile descrivere l’entusiasmo, l’estasi, l’ebbrezza da cui fui preso. Per settimane non feci altro che suonare l’opera da capo a fondo nella riduzione per canto e pianoforte; anche quando mi addormentavo, non potevo separarmi da questa musica divina che mi inseguiva nei miei sogni felici. Come scrivevo sopra, il mio amore per la musica italiana continua ancor oggi, anche se con intensità molto minore: vorrei paragonare quest’amore a un ricordo di gioventù da custodire teneramente. Con Mozart, d’altra parte, è qualcosa di completamente diverso. Tra i grandi Maestri Mozart è quello da cui mi sento più attratto: è stato così da quel giorno e sarà sempre così.”
Con queste parole Čajkovskij stesso ci descrive l’imprinting musicale ricevuto in gioventù, e svela la sua intensa partecipazione emotiva nell’incontrare la musica di altri compositori.
Interessante e rivelatore di un altro lato della sua sensibilità quanto racconta poco più avanti a proposito di Beethoven: “Di tanto in tanto mi mettevo a studiare una Sinfonia di Beethoven. Che strano! Ogni volta questa musica mi faceva sentire triste lasciandomi scontento per settimane, e preso da un ardente desiderio di scrivere una Sinfonia […] Tuttavia sentivo troppo acutamente la mia ignoranza, la mia totale incapacità nel trattare la tecnica della composizione, e questo sentimento mi portava vicino alla disperazione.” Tutto ciò avveniva prima che Čajkovskij iniziasse i suoi studi al Conservatorio di San Pietroburgo e lasciasse il lavoro di funzionario al Ministero della Giustizia. Il rapporto con Anton Rubinstein, allora Direttore del Conservatorio, viene ricordato così da Čajkovskij: “Provavo una profonda venerazione per lui, è d’altronde davvero difficile sottrarsi alla magica forza d’attrazione che questo artista di genio e quest’uomo nobile e generoso esercita su chiunque abbia la fortuna di avvicinarlo. Con tutte le forze mi incoraggiava nella mia vocazione, anche se questo non gli impediva di rimproverarmi a volte, quando manifestavo la mia simpatia per le nuove tendenze e tentavo di seguire le orme di Berlioz e Wagner.” Insofferente alle classificazioni, Rubinstein scriveva nel suo Gedankenkorb:
“I russi mi chiamano tedesco, i tedeschi mi chiamano russo, gli ebrei mi chiamano cristiano, i cristiani mi chiamano ebreo. I pianisti mi chiamano compositore, i compositori mi chiamano pianista. I classicisti mi pensano futurista, e i futuristi mi chiamano reazionario…” Questa frase richiama alla memoria quello che Čajkovskij stesso disse nell’intervista alla Peterburgskaja Žizn del 1892, a proposito della classificazione e contrapposizione tra “Nuova Scuola Russa” (I cinque) e fazione “Conservatrice” (in cui egli veniva collocato da certa stampa): ”Questa divisione in partiti è il risultato di una bizzarra confusione di idee e di nozioni, è un guazzabuglio colossale che dovrebbe ora essere consegnato al passato una volta per tutte”.
Nella sua lettera a Taneyev del 1º Agosto 1880, sollecitato dalle aspirazioni di quest’ultimo nel creare un originale linguaggio musicale russo da contrapporre a quello dell’Europa occidentale, chiarisce in modo inequivocabile i suoi sentimenti e le sue convinzioni: “[…] è impossibile annullare la Storia, e così se, grazie a Pietro il Grande, ci troviamo fatalmente ai margini dell’Europa, sempre in Europa dovremo rimanere”. E, riferendosi alle antiche melodie popolari russe, soggiunge: “Apprezzo molto la ricchezza del materiale (musicale) accumulato dal popolo infangato e sofferente, ma noi che utilizziamo questo materiale, lo elaborereremo sempre in forme che abbiamo preso a prestito dall’Europa, perché, anche se russi di nascita, siamo allo stesso tempo in misura di gran lunga maggiore europei, abbiamo assimilato le loro forme così fortemente e profondamente che per riuscire a separarci da loro dovremmo usare coercizione e violenza su noi stessi, e da tale coercizione e violenza non può nascere nulla di artistico.”
Queste considerazioni di Čajkovskij, divenuto ormai l’autore di opere memorabili, non sono speculazioni astratte. La maturità e la consapevolezza raggiunta non intaccheranno mai il suo profondo coinvolgimento emotivo e il suo entusiasmo verso la musica degli altri grandi. Sono passati più di vent’anni dall’incontro con il Don Giovanni quando scrive, sempre a Taneyev: “L’altro giorno ho suonato da capo a fondo una delle mie composizioni preferite: la Carmen di Bizet, e sono stato ancora una volta infiammato d’ammirazione. Se sapessi come scrivere qualcosa di serio, mi darebbe tanta gioia pubblicare un articolo in cui provare che Carmen, nonostante la modestia delle pretese del compositore (l’ha scritta per l’Opéra Comique, non per il Grand Opéra) è una delle più straordinarie opere liriche del nostro tempo.”
Del Concerto per violino di Čajkovskij non può non colpire l’affinità con il Concerto di Mendelssohn che sembra esserne il modello ideale: come in Mendelssohn nel primo movimento la Cadenza del solista viene collocata proprio prima della ripresa, il secondo movimento è collegato al terzo, e risulta persino identico lo schema ritmico dell’inizio del Finale. Čajkovskij riesce inoltre a mantenere, a più di quarant’anni di distanza, l’ideale magico equilibrio di cui è permeato il concerto mendelssohniano fra il tessuto orchestrale e lo strumento solista.
Sappiamo che la “Méditation”, pubblicata per violino e pianoforte come Op. 42 nº1, era stata concepita come secondo movimento del Concerto, ma quasi subito Čajkovskij aveva deciso di sostituirla con un Andante che meglio si sarebbe adattato alle proporzioni generali della composizione e che intitolò “Canzonetta”.
Un termine particolare questo, del tutto insolito per essere inserito in un’opera di così vasto impegno, e che, mentre evoca ancora una volta il legame con l’Italia, incuriosisce e ci fornisce un prezioso indizio per trovarne un’ideale chiave di lettura. Seguendo questo indizio troviamo anche in un’opera proprio di Mendelssohn, il Quartetto Op. 12, un movimento intitolato “Canzonetta” composto, ed è quello che più sorprende, esattamente con le stesse note!
Sia Mendelssohn che Čajkovskij hanno infatti utilizzato il tema di una canzone del tardo ‘500, conosciuta come “La Mantovana”, opera di Giuseppe Cenci detto Giuseppino del Biado. Questa canzone aveva avuto una diffusione straordinaria in tutta Europa, citata in opere colte, ma soprattutto divenuta patrimonio di musica popolare con testi diversi (“My mistress is prettie” in Scozia, “Virgen de la Cueva “ in Spagna, “El Canto de los Pajaros” in Catalogna, “Pod Krakowem” in Polonia, “Fuchs, du hast die Gans gestohlen” in Germania, “Kocka leze dirou” in Boemia, “Kateryna Kucheryava” in Ucraina, “Cucuruz cu frunza-n sus” in Moldavia.) Negli angoli più remoti d’Europa questa melodia è risuonata ed è stata sentita come l’espressione più genuina dei diversi caratteri nazionali: Smetana la propone come melodia principale de “La Moldava” da “La mia Patria” e Samuel Cohen, per comporre “Hatikvah” divenuto poi inno nazionale israeliano, ne adattò la versione rumena.
Facendo risplendere col suo genio questa “Canzonetta” nel momento più intimo e meditativo del Concerto per violino, Čajkovskij ha idealmente abbracciato, nel tempo e nello spazio, nelle passioni e nei sentimenti, l’Europa musicale per cui nutriva, senza per questo sentirsi meno russo, il sentimento di un figlio riconoscente.


Note sull’orchestrazione di “Méditation”
da “Souvenir d’un lieu cher” op.42
Nel comporre il Concerto per violino Čajkovskij aveva iniziato con una prima stesura per violino e pianoforte e, solo dopo aver sostituito il secondo movimento originale (Andante) con la “Canzonetta”, si apprestò a scrivere per esteso la partitura orchestrale. Di quell’Andante era rimasta quindi solo la prima versione con pianoforte, che due anni più tardi Čajkovskij decideva di pubblicare con il titolo “Méditation”, primo dei Tre Pezzi per violino e pianoforte che costituiscono il “Souvenir d’un lieu cher” opera 42.
Appare quindi più che giustificato proporre questa Méditation in una versione per violino e orchestra, dato che questa era stata la prima intenzione dell’autore. Glazunov, compositore stimato e apprezzato da Čajkovskij, tre anni dopo la morte di quest’ultimo, ne pubblicava un’orchestrazione; affidarsi a questa versione sembrerebbe l’opzione più logica, tuttavia un confronto con la parte pianistica originale rivela che il lavoro di Glazunov non si limita ad una strumentazione, ma propone in alcuni punti una riscrittura addirittura sostanziale, frutto evidente di un gusto che si stava evolvendo. In Čajkovskij la costruzione classica della frase musicale prevede un alternarsi di momenti di maggiore e minore tensione sempre sottolineati, se non addirittura definiti, dall’armonia. Glazunov, che appartiene ad una generazione successiva di musicisti, si attiene per contro ad una concezione diversa e preferisce cercare di prolungare la tensione armonica rinunciando quasi inconsapevolmente ai momenti di riposo: già alla quarta battuta della prima frase del solista troviamo uno di questi esempi. Dove il testo originale prevede che soltanto il violino suoni nel tempo forte (accorgimento utilizzato peraltro diffusamente proprio nel Concerto), Glazunov “riempie” invece le pause dell’accompagnamento lasciate da Čajkovskij, e addirittura crea ex novo un controcanto del corno: preferisce così inserire (potremmo dire ingabbiare) la melodia del solista in un contesto unitario con l’orchestra, penalizzandone però la vivacità ritmica e agogica.
In generale Glazunov si distacca da quella trasparenza orchestrale che troviamo nel Concerto, privilegiando un tessuto strumentale sempre denso anche quando la funzione dell’orchestra è di semplice sostegno armonico, o quando il significato musicale esigerebbe proprio una rarefazione del materiale sonoro.
Interessanti appaiono invece alcune soluzioni timbriche che richiamano la caratteristica scrittura orchestrale usata da Čajkovskij nei Poemi sinfonici o nei Balletti.
Queste considerazioni mi hanno stimolato a proporre per “Méditation” una nuova orchestrazione della parte pianistica che, senza rinunciare ai preziosi riferimenti di Glazunov allo stile orchestrale delle opere di Čajkovskij, tenda a ricercare e ad evidenziare il prezioso significato espressivo della sua concezione metrica e armonica attraverso una maggiore aderenza al testo originale.
Giovanni Angeleri